Emozione, orgoglio e responsabilità: raccontare e degustare il mio vitigno del cuore, il Nebbiolo, ha in sé fascino, sfida e gioia: gioia pura e infinita, contaminata dalla presenza di cinque straordinarie annate (2008, 2010, 2015, 2016 e 2017) pronte a dimostrare il loro naturale anti-aging. Non temono il tempo, schiena dritta e testa alta: nobiltà, aristocrazia, blasone, ma anche ricchezza di argomenti, accoglienza e armonia. Le verticali, si sa, sono sempre un momento unico: scegliere Milano per un evento così importante non è casuale. Il legame non è solo nel naming, anche se il nome del capoluogo lombardo è in quello della cantina. Milano rappresenta per l’azienda che ha sede a Barolo la testimonianza di un asse immaginario che vuole Damilano sempre più proiettata sulla scena internazionale, con un compito importante: celebrare il Made in Italy, nella sua veste più elegante e prestigiosa. “Variazioni di Barolo” è il titolo dell’evento, con una “V” che torna, quasi in segno di vittoria, anche in quella parola, “Verticale”, che evoca fascino, indagine, comprensione e storytelling non solo di un vino, ma di una famiglia e di un territorio.
Se è vero, come sosteneva Coco Chanel, che per essere insostituibili bisogna essere diversi, lo stile Damilano oggi esprime contemporaneità, parla al plurale e interpreta la tipicità come unicità: e se la radice dell’invecchiamento sta, come dichiara il Prof. Luigi Moio, nel binomio tra pianta e terroir, la verticale attesta la capacità di questa grande Riserva non solo di tenere il tempo, ma anche di interpretare i cambiamenti dei gusti dei consumatori e dei mercati. Paolo Damilano, Amministratore Delegato del Gruppo, il cugino Guido Damilano e l’enologo Alessandro Bonelli raccontano quanto il Gruppo punti ad un livello qualitativo che prende il nome di eccellenza, frutto di una cura quasi maniacale nella selezione dei terreni, delle uve e in cantina.
Ci sono vini che hanno il colore e il profumo di chi li fa, finendo inevitabilmente per assomigliare ai loro creatori, sino a diventarne un autoritratto: si indossano come abiti, colorati, disegnati e confezionati. Sono capi di alta sartoria, sempre taylor made e mai pret-à-porter. I vini di Damilano sanno della famiglia Damilano e del Piemonte: un intreccio magico che parla soprattutto d’amore. Sono gesti, in vigna e in cantina. Sono parole, sono sensi. Ci sono vini che hanno i colori dei fuochi d’artificio, dal rosso acceso all’arancione vivo. Altri che hanno il colore della luce, talmente filigranata da essere cangiante e abbagliante. Vini che sanno essere senza confini, che non hanno argini, che non stanno nelle regole. I grandi vini sanno essere imprevedibili perché sanno di libertà. Vini che alternano la nobiltà e l’austerità del vitigno all’umiltà, alla tenacia e alla resilienza di chi cresce in ambienti complessi anche dal punto di vista climatico.
Il senso della verticale è capire come ci fanno sentire questi vini: accoglienti come i proprietari di un palazzo antico, ci regalano un senso di appartenenza, come se qualcosa di loro fosse nostro e viceversa. Il racconto ha inizio dall’annata più vecchia, perché interessante è il percorso, con un millesimo, il 2015, che fa da spartiacque con la nascita di quella che possiamo definire la “dimensione Damilano” e con una idea di Barolo agile, dinamica, moderna, per nulla sontuosa, omologata o zavorrata. Un percorso eversivo per certi aspetti, che ha avuto inizio in difformità rispetto alle normali consuetudini di degustazione: viene meno la compostezza sabauda per scompaginare il protocollo e, con un fare non certo provocatorio, suggerire invece la sfida non contro, ma verso il tempo. Il Cannubi guarda dritto negli occhi il tempo che passa, con la consapevole e struggente certezza che non capitolerà facilmente. La bellezza di questo cru sta proprio nella sua capacità di rimanere fedele a sé stesso, rimanendo al passo con i tempi: rispetto a tutti i Barolo, il Cannubi gioca un altro campionato in eleganza e finezza, interpretando magistralmente il sottosuolo fatto di calcare e di argilla senza mai sovrastare il terroir o l’annata. Nessuno come lui, sembra sussurrare ad ogni sorso, in un allungo che ha memoria infinita. Una metrica degustativa ammaliante, seduttiva, magnetica ma, soprattutto, portatrice sana di armonia: vini che fanno bene, carezze per l’anima e il cuore. Vini che hanno fame di cibo: definirli gastronomici appare del tutto riduttivo, dal momento che ne rappresentano la sublimazione nella gioia dei sensi. La responsabile delle Relazioni Esterne di Damilano Claudia Rosso dà il via alle danze, perché festa sia:quando parliamo di vino la dimensione conviviale non può mai mancare.
In degustazione Barolo Riserva DOCG “Cannubi 1752”, la verticale:
2008: Oscar Wilde non avrebbe potuto fare di meglio. Come nel ritratto di Dorian Gray, questo vino restituisce una gioventù sorprendente: l’assaggio è elegante, generoso, freschissimo e grintoso. Perfettamente calibrato, dall’acidità carismatica, con un bouquet ampio tra violetta e sottobosco. Tannino tridimensionale, avvolgente, piacevolmente foderante il palato. Esprime passione e ardore, fiero e vibrante con i suoi 16 anni, che porta sapendo di poter mentire sull’età. In uno stato di grazia assoluta. Tempo non ti tempo, sussurra ad ogni sorso.
2010: un calice più verticale, dal naso più delicato, con un incedere da ballerina di danza classica. L’espressività è giocata più sul frutto, con ricordi da sacrestia che evocano l’incenso e la boiserie. Esprime profondità, tra spezie esotiche e una concentrazione cromatica più fitta. Finale di sandalo, rabarbaro e liquerizia, con sbuffi mentolati e di aghi di pino.
2015: Ottima freschezza, palato con un graffio ingentilito da una carezza finale tra note di caffè, pepe nero e erbe officinali: stille iodate di incenso si fondono nel tabacco dolce. Autorevole, ha un tannino quasi saporito, con un bellissimo frutto e ricordi di gelatina di ribes e di rosa essiccata. Echi balsamici e sentori di spezie esotiche. Il legno cede ma mai eccede. Personalità da vendere, “mi farò” sembra dire a gran voce. Inebriante nella sua eleganza.
2016: la tempesta perfetta, non una nota fuori posto. Un vino orchestrale, dove ogni componente, dal floreale al fruttato, dalla spezia al vegetale, diventa tessera di un mosaico dove tutto torna. Acidità che diventa passaporto per l’eternità, con potenzialità evolutive determinabili con una precisione chirurgica. Scalpita, si lascia prendere e poi fugge via. Una liason d’amore.
2017: esuberante, inquieto, un giovane esordiente, coraggioso a presentarsi dopo il fratello maggiore, quell’annata 2016 così importante e pluripremiata. Ma i vini eccellenti sono tali anche da giovani, e la 2017 è contaminate di energia, con un tannino incisivo ed una prevalenza floreale che la rende già elegante. Un vino d’attesa che è promessa. Guarda al futuro con la certezza e la garanzia che al cuor non si comanda. Ma anche al DNA.
L’aperitivo al termine della degustazione rappresenta inoltre il “battesimo” del Timorasso Derthona di Damilano: otto ettari di vigneto per realizzare un abito bianco nello stile della cantina. Frutta a polpa bianca, agrumi freschi, sapidità da vendere e un ricordo di mandorla che rimane sullo sfondo. Solo acciaio per un’interpretazione accogliente, giocosa e sorridente. Perché i vini sanno sorridere, è sempre una questione di carattere.
Pranzo all’insegna del Barolo, con altre etichette prestigiose della cantina (2020 Raviole, Serralunga d’Alba, Cerequio, Cannubi e il Liste 2019): i piatti in abbinamento proposti da Guido Paternollo, chef del Park Hyatt Milano sono la tartare di fassona, topinambur, nocciole e nasturzio, il risotto mantecato al mascarpone con civet vegetale di verza e il filetto di manzo alla Royale. La piccola pasticceria sul finale è un balsamo che ci porta in dirittura verso la stagione più fredda. Benvenuto inverno: Barolo Riserva Cannubi 1752 come terapia del benessere.
Per le foto nel testo: Ph.Credit Damilano