Per molto tempo il settore ha parlato un linguaggio esclusivo, fatto di termini e narrazioni arcaiche. Totalmente slegato dal territorio e dagli uomini e dalle donne che ogni giorno svolgono il mestiere di vignaioli. Scisso da quel terroir sociale che ne è l’assoluto presupposto. Un linguaggio che ha dimenticato che i vini assomigliano ai luoghi, ai tempi e ai modi in cui vengono realizzati, e finendo per trasformarsi in sistema di comunicazione da setta, da enofili e, a tratti, da enosnob. Poco credibile, peraltro. Ma oggi, con l’ingresso delle generazioni digital-first, le regole sono destinate a cambiare.
Cosa cerca la Next Gen nel vino?
• Esperienze, non solo prodotti: storytelling autentico, momenti condivisibili e interattività.
• Linguaggi nuovi: più immediatezza e autenticità, più inclusione e meno formalismi.
• Attenzione all’ambiente e alla sua sostenibilità.
• Digitale e realtà aumentata: etichette interattive, NFT, metaverso… il vino non è più solo una questione di terroir, ma anche di community online.
Il punto chiave
Essere rilevanti, non solo presenti. Il vino ha una storia millenaria, ma il modo in cui la raccontiamo è destinato a evolvere. Non è una questione di “semplificare”, ma di parlare la lingua di chi ci ascolta. Stando alla larga dall’emergenza noia e continuando comunque a fare uso della tecnica, che è valore aggiunto perché evita la banalizzazione. Senza dimenticare che il buon vecchio “Less is more” funziona sempre.
A questo link potrai riascoltare l’intervento di Sara Missaglia: https://www.yout

